Il non caso Prato
IMMIGRAZIONE A PRATO. Come è noto Prato ha un tasso di immigrazione eccezionale rispetto alle altre città toscane. Questa immigrazione fortissima non è fatta di indigenti collocati in fondo alla scala sociale. Al contrario, è gestita da imprenditori cinesi estremamente abili, aggressivi e senza scrupoli che, sfruttando il lavoro in nero di loro connazionali e in un regime di evasione fiscale totale, si sono prima infiltrati nel sistema produttivo del comprensorio e poi se ne sono impossessati, fino a far proprio il marchio made in Italy. È ovvio che questo fenomeno così atipico abbia provocato nella popolazione una diffusissima avversione verso i cinesi. Il profondo malcontento ha determinato anche un clamoroso rivolgimento elettorale a vantaggio del centro-destra (alle elezioni amministrative del 2009 il centro sinistra perde, dopo 63 anni, la roccaforte Prato). Dato questo contesto socio-economico esplosivo, lemergere di forme di razzismo nel calcio sembrava una conseguenza di cui non ci si potesse stupire.
NESSUN CASO PRATO. In un'intervista a Panorama del 30 gennaio 2012 Mauro Valeri definisce il Prato una "new entry" del razzismo negli stadi. Tuttavia, dall'analisi statistica degli episodi di razzismo nel calcio italiano (2000-2012) emerge una sola sanzione del giudice sportivo ai danni di questa tifoseria per un coro razzista contro un giocatore avversario: decisamente troppo poco anche solo per poter ipotizzare l'esistenza di un caso Prato. Gli episodi a cui si riferisce Valeri, visti da vicini, si rivelano quindi di scarsissimo rilievo se non inesistenti. Questo suggerisce che neanche una situazione di immigrazione fortissima, e soprattutto con caratteri atipici tali da arrecare un danno molto grave alla comunità, di per sé produce razzismo nello stadio.