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Il caso Thuram

Il caso Thuram: il nero va bene solo se molto forte. E Thuram non va alla Lazio
Foto di Lilian Thuram

ACCORDO TRA SOCIETÀ, DUBBI DI THURAM. Anche il caso Thuram, scoppiato nel giugno 2001, sembra avvalorare la tesi secondo cui alcune frange razziste del tifo sono disposte a mettere da parte le loro manifestazioni di intolleranza e ad accettare un nero solo se questo è molto forte e può rappresentare un valore aggiunto per la propria squadra. Poco prima della fine del campionato, infatti, i tifosi laziali sono protagonisti di un episodio particolare determinato dall’interesse della Società verso il francese dalla pelle scura Lilian Thuram, pezzo pregiato della nazionale transalpina in forza al Parma. Nonostante Lazio e Parma abbiano raggiunto l’accordo sulla base di più di 50 miliardi di lire, il giocatore mostra forti perplessità ad accettare il trasferimento nella società biancoceleste. Thuram è infatti uno dei calciatori più attivi nella lotta contro il razzismo e in passato aveva criticato gli stessi tifosi del Parma per questo motivo. Il trasferimento del giocatore alla Lazio sembra quindi condizionato negativamente dalla presenza di una cospicua componente intollerante nella tifoseria biancoceleste.

INCONTRO TRA THURAM E GLI "IRRIDUCIBILI" DELLA LAZIO. È a questo punto che gli Irriducibili della Lazio, la parte più estrema del tifo biancoceleste, chiedono e ottengono un incontro col giocatore francese. Nel colloquio, avvenuto nel ritiro parmense di Colecchio con la collaborazione di Almeyda, Di Vaio e altri ex biancocelesti in forza al Parma, e durato più di un’ora, i tifosi della Lazio cercano di spiegare la loro posizione sul problema del razzismo e sugli ululati che domenicalmente arrivano dalla curva nord: «L’avversario è una cosa, chi indossa la maglia della Lazio un’altra». Al termine dell’incontro è lo stesso Thuram a spiegare alla stampa il contenuto del colloquio: «Mi hanno spiegato che i loro “buuu” all'indirizzo degli avversari di colore hanno solo il significato di sfottò. Ne ho preso atto, anche se ovviamente non condivido questo tipo di atteggiamento». Per poi aggiungere: «Un giocatore di colore prima di andare alla Lazio ci pensa due volte. Questo incontro, però, mi ha fatto capire molte cose. È un gesto positivo per la Lazio e per il calcio, perché quando si parla della società biancoceleste se ne parla sempre in negativo. In Francia mi chiedono come faccio a giocare in Italia». Pochi giorni dopo Thuram accetterà il trasferimento alla Juventus.

COMMENTO DI CRAGNOTTI. Cragnotti, all’epoca presidente della Lazio, commenterà così: "Thuram ha rifiutato la Lazio per colpa della curva, dei buuu ai calciatori di colore e del razzismo […]. Purtroppo non vuole venire a Roma. Lo ha comunicato ufficialmente. Per colpa di una piccola parte della nostra tifoseria, che attraverso il razzismo e l’antisemitismo ha danneggiato l’immagine della Lazio nel mondo, Thuram si è chiamato fuori». E non senza giustificatissime ragioni, potremmo aggiungere noi, ragioni che però Thuram non espresse. Difficile credere infatti che “i buuu all'indirizzo degli avversari di colore avessero solo il significato di sfottò”, visto che la stessa tifoseria laziale negli anni precedenti non si era certo limitata ai buuu e soltanto due mesi prima (aprile 2001), in occasione del derby Roma-Lazio, aveva manifestato il suo orientamento marcatamente razzista esibendo lo striscione: "Squadra de negri e curva d’ebrei".

RAZZISMO AMBIGUO. Ad ogni modo, come bene illustrano i casi Winter e Thuram, il razzismo nel calcio si presenta come un fenomeno capace di sfociare in manifestazioni anche molto violente, ma al tempo stesso pronto a ritirarsi di fronte a interessi maggiori, come quello di ingaggiare un giocatore di grande qualità in grado di accrescere il valore dell’organico, molto probabilmente non tanto, o non solo per il bene della squadra, ma per motivi di opportunismo politico. È un razzismo ambiguo, non nella forma – che anzi è spesso ostentata al punto da non lasciare alcun dubbio sulla natura del fenomeno (pensiamo alla scritta “Winter Raus” o ai cori discriminatori degli stadi, tutto meno che ambigui) – quanto piuttosto per le dinamiche e le logiche che lo muovono. In questo caso direi che il razzismo di stampo neofascista, di cui si è parlato in questo capitolo, per opportunismo politico ha dovuto scendere a patti con la logica ultras di mettere al primo posto l’interesse della squadra e dunque della tifoseria.


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